- I livelli minimi di pH nelle acque naturalmente acide nei pressi di un vulcano sottomarino in Italia, secondo le peggiori previsioni climatiche, diventeranno un fenomeno comune entro la fine del secolo e oltre.
- Gli scienziati stanno studiando le reazioni di piante fanerogame marine e alghe locali alle condizioni acide.
- Una delle domande che gli scienziati si pongono è se le fanerogame possano essere utilizzate per il restauro ambientale di altre aree che potrebbero diventare più acide in un prossimo futuro.
- Tuttavia, alcuni ricercatori segnalano che queste piante marine capaci di sequestrare il carbonio devono fare i conti con pericoli più imminenti come l’inquinamento, il degrado del loro habitat e il riscaldamento delle acque: problemi da affrontare per rendere efficace la loro azione di restauro.
Una stradina rialzata di ciottoli collega un isolotto, su cui si abbarbica il famoso castello Aragonese, all’isola di Ischia, al largo della costa della città di Napoli. Lungo i contorni settentrionali e meridionali dell’isolotto, sott’acqua, dalle rocce vulcaniche gorgoglia anidride carbonica. Attorno a queste strisce effervescenti di fondale marino, il pH dell’acqua varia da un livello minimo di 6,6 al normale 8,1. Tra il 7,8 e il 7,7, valori che saranno comuni a tutte le acque marine del pianeta entro la fine del secolo, secondo le peggiori previsioni climatiche, fanerogame e macroalghe dominano il paesaggio.
Dal 2008 quest’area viene utilizzata come un laboratorio naturale di biogeochimica e come una finestra sul futuro da scienziati di tutto il mondo. I ricercatori che lavorano in queste acque, acide per natura a causa della presenza di vulcani sottomarini, tra i diversi aspetti dell’ecologia del luogo, stanno studiando animali e popolazioni di fanerogame che popolano queste rocce da generazioni.
“Ci sono organismi fotosintetici come la Posidonia e altri tipi di macroalghe che, in qualche modo, si sono già adattate all’acidificazione dell’acqua marina,” ha dichiarato Marco Munari, ricercatore di Ecologia Marina ed Ecotossicologia alla Stazione Zoologica Anton Dohrn (SZN) di Napoli, in una intervista a Mongabay. Fino all’inizio di quest’anno, Munari è stato il coordinatore dell’Ischia Marine Centre della SZN, poi si è spostato in una succursale della SZN a Fano.
Le popolazioni locali di questi organismi sono già preparate ai fattori di stress che le popolazioni di altre aree potrebbero subire in un futuro non lontano.
Con un pH ai livelli previsti entro il 2100 dal più pessimistico degli scenari di emissioni, le fanerogame e le alghe cresceranno rigogliose. Ai livelli di concentrazione di CO2 previsti, infatti, queste piante possono sfruttare al meglio le proprie capacità di fotosintesi, sostiene Marco Milazzo, professore di Ecologia all’Università di Palermo che sta studiando i camini vulcanici sottomarini in Sicilia e al largo del Giappone.
Il problema è che queste fanerogame e macroalghe sono quasi gli unici organismi marini a stare meglio, ha aggiunto.
A partire dalla rivoluzione industriale, gli oceani hanno assorbito circa il 30% delle emissioni di anidride carbonica proveniente da attività umane quali la combustione di combustibili fossili, produzione di cemento e cambiamenti nell’uso del suolo. Questo assorbimento ha influenzato la chimica marina, facendo diminuire il livello medio del pH dell’acqua da 8,2 a 8,1. Un tale cambiamento potrebbe sembrare insignificante, ma la scala del pH è logaritmica e persino variazioni di 0,1 sono importanti e possono innescare una serie di cambiamenti a cascata nella composizione delle acque marine. Negli scenari futuri, con le emissioni di CO2 in aumento, si prevede che la diminuzione del livello del pH delle acque marine avrà conseguenze catastrofiche per gli organismi che si costruiscono il guscio come cozze, vongole, ricci di mare e coralli, compresi innumerevoli microrganismi che sostengono la rete alimentare marina.
In un contesto simile, gli habitat costieri, formati da praterie di fanerogame, paludi salmastre e mangrovie tropicali, hanno assunto un’importanza ancora maggiore. Dal 2009 è stato riconosciuto il ruolo chiave che questi sistemi ricoprono assorbendo anidride carbonica e altri gas serra dai mari. Come gli alberi e le foreste sulla terra, questi cosiddetti ecosistemi “blu” assorbono l’anidride carbonica dall’ambiente attraverso la fotosintesi, rilasciando ossigeno e immagazzinando carbonio organico nei sedimenti. Questi habitat ricoprono meno dello 0,5% dei mari ma immagazzinano metà del carbonio, che viene sepolto carbonio, che viene sepolto.
Purtroppo, gran parte dell’area superficiale di questi ecosistemi è andata persa a causa dello sviluppo costiero, della qualità dell’acqua e di altre pressioni di tipo antropogenico. Nella regione mediterranea, secondo un articolo del 2015 citato anche in una revisione più recente, l’iconica fanerogama Posidonia oceanica, negli ultimi 50 anni, si è ritirata del 34% rispetto a quella che era la sua area storica.
“Le attività umane, come la pesca con le reti a strascico o l’abbandono delle reti da pesca che, con il movimento delle onde, sradicano queste piante marine, corrispondono alle industrie che stanno deforestando l’Amazzonia per produrre legno pregiato,” sostiene Munari. Entro il 2030, sia l’ONU che la Comunità Europea puntano ad ampliare la conservazione e il restauro di questi ecosistemi capaci di immagazzinare anidride carbonica.
A Ischia, i ricercatori hanno condotto esperimenti per verificare se le popolazioni di Posidonia che si sono adattate alle acque naturalmente acide possono essere utilizzate per il restauro ambientale di altre aree. Esperimenti già effettuati nei pressi di camini vulcanici sottomarini, infatti, hanno dimostrato che la vegetazione sottomarina, attraverso la fotosintesi, contribuisce a mitigare l’acidificazione e ne attenua gli effetti su altre specie. L’assorbimento della CO2 disciolta e il rilascio di ossigeno dovuti alla fotosintesi, secondo alcuni studi recenti, sembrano rendere gli habitat più resilienti alle ondate di calore e, presumibilmente, ad altri fattori di stress come l’inquinamento. Al momento, i ricercatori della SZN stanno conducendo esperimenti in laboratorio per testare la risposta delle fanerogame e delle macroalghe sia alle ondate di calore che all’acidificazione dell’acqua.
Inoltre, stanno pianificando esperimenti sul campo con la Cystoseira, una macroalga mediterranea che non si trova attorno agli sfiati vulcanici di Ischia. Collocheranno, infatti, diverse popolazioni di Cystoseira lungo le pendenze degli sfiati per testarne le risposte ai vari livelli di acidità allo scopo di identificare le popolazioni da utilizzare in altri progetti di restauro ambientale.
“Testando la risposta di diverse popolazioni a condizioni di riscaldamento, acidificazione e inquinamento è possibile, per esempio, identificare quelle popolazioni che sono più resilienti e, quindi, più adatte a scopi di restauro ambientale,” ha scritto Munari in una e-mail.
Negli Stati Uniti, gli scienziati hanno proposto di prendere dei semi della fanerogama comune Zostera marina dalla Virginia e piantarli molto più a nord, nelle acque di New York. L’ispirazione è arrivata dall’osservazione della migrazione verso nord di alcune specie a seguito del riscaldamento delle acque. L’idea è quella di aiutare la Zostera marina, che dovrebbe essere ben abituata alle temperature più elevate della Virginia, a stabilirsi anche molto più a nord.
Simonetta Fraschetti, professoressa di Ecologia all’Università Federico II di Napoli, ed Erika Fabbrizzi, ricercatrice che ha appena concluso un progetto di dottorato sulla restaurazione forestale delle macroalghe, ritengono importante identificare popolazioni che si adattino meglio di altre, specialmente alle anomalie della temperatura. Il mantra di Fraschetti, però, è: restauriamo, restauriamo ma, prima di tutto, mitighiamo, mitighiamo e conserviamo. Riportare un habitat degradato alla sua condizione originale è estremamente costoso: quindi, in primo luogo, è meglio prevenire il degrado.
Durante il suo dottorato di ricerca, Erika Frabbrizzi ha lavorato all’identificazione dei criteri prioritari per quei siti con maggiori probabilità di ripresa. Effettuare una mappatura degli habitat marini e delle loro condizioni ambientali è un primo passo fondamentale, ha dichiarato. Inoltre, comprendere le cause della scomparsa di un habitat è la chiave che determina il successo del suo restauro.
Per esempio, a Long Island, New York, dove Alyson Lowell sta conducendo gran parte della sua ricerca sul metabolismo delle fanerogame e i suoi effetti sulla biochimica delle acque marine come dottoranda alla Stony Brook University, la luce è il fattore che impedisce alla Zostera di fornire servizi ecologici migliori. L’inquinamento da nutrienti in una zona densamente popolata come New York stimola la fioritura delle alghe, che sottraggono la luce alla fotosintesi delle fanerogame. “A Long Island, per un restauro ambientale efficace, dobbiamo ripulire la nostra colonna d’acqua,” sostiene Lowell.
Secondo Fraschetti, i fattori che contribuiscono al degrado di un habitat vanno contrastati con maggiore urgenza rispetto all’acidificazione delle acque. “Nel Mediterraneo, la Posidonia sta scomparendo per ragioni diverse dall’acidificazione,” ha dichiarato. “Dobbiamo prima concentrarci sulle cause di questa scomparsa.”
Il Sesto Rapporto di Valutazione IPCC sostiene che la Posidonia potrebbe arrivare all’estinzione funzionale entro il 2100, principalmente a causa del riscaldamento delle acque marine.
“I sistemi naturali…sono caratterizzati una fortissima resilienza,” afferma Fraschetti in uno slancio di ottimismo. “Partiamo da questo per evitare di avere una desertificazione globale entro la fine del secolo.”
Immagine del banner: Le macroalghe e le anemoni di mare prosperano con i livelli elevati di CO2 delle acque attorno all’isola di Vulcano, in Sicilia. Foto di Marco Milazzo.
Citazioni :
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Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2022/12/hunting-for-future-proof-marine-plants-in-the-acidic-waters-bathing-a-volcano/