- Nel maggio del 2015, in Kazakistan, più di 200.000 antilopi saiga (Saiga tatarica) morirono all’improvviso. La popolazione mondiale di questa specie in pericolo critico di estinzione si ridusse così di due terzi.
- Alcuni studi indicano che le saiga sono probabilmente state uccise da una forma di setticemia emorragica causata da un batterio chiamato Pasteurella multocida. Tuttavia, dato che P. multocida vive giá, in maniera innocua, negli organismi sani di saiga e di altri animali, la domanda rimaneva irrisolta: perché così tante saiga sono state infettate, all’improvviso e così gravemente, da un batterio normalmente benigno?
- Una nuova analisi potrebbe avere risolto parte del mistero, collegando la diffusione di P. multocida a livelli di umidità e temperature insolitamente elevati.
- I risultati indicano che le saiga potrebbero essere molto sensibili al cambiamento climatico, che, in Kazakistan, si appresta ad alzare sia i livelli di umidità che le temperature.
Nel maggio del 2015 più di 200.000 antilopi saiga (Saiga tatarica) morirono all’improvviso. Intere mandrie vennero sterminate, i loro corpi disseminati nella steppa del Kazakistan centrale, come se fossero piovuti dal cielo. I biologi erano sbalorditi, perplessi e molto preoccupati. Questa morìa di massa ridusse di due terzi, a livello globale, una specie già in pericolo critico di estinzione. Oggi sono rimasti solo 31.000 individui in Kazakistan, 100.000 in tutto il mondo.
Studi indicano che le saiga sono probabilmente state uccise da una forma di setticemia emorragica causata da un batterio chiamato Pasteurella multocida. Tuttavia, dato che P. multocida vive giá, in maniera innocua, negli organismi sani di saiga e di altri animali, la domanda rimaneva irrisolta: perché così tante saiga sono state infettate, all’improvviso e così gravemente, da un batterio normalmente benigno?


Nel 2016, un nuovo disastro colpì le saiga. Questa volta in Mongolia e da un’entità già nota: un virus proveniente da greggi di capre e pecore. Tra il dicembre del 2016 e il febbraio del 2017 circa 2.500 saiga, circa un quarto dell’intera popolazione del Paese, morirono a causa di un’infezione.
Una volta confermata l’origine virale, organizzazioni per la conservazione della natura e comunità locali si affrettarono a bloccarne la diffusione e ridurre il rischio di un’altra epidemia, vaccinando il bestiame. La causa della morìa del 2015 rimase però ancora un mistero, che ostacolava gli sforzi volti a fermare episodi futuri.
Tuttavia, una nuova analisi potrebbe aver risolto parte di questo mistero, collegando la diffusione di P. multocida a livelli eccezionalmente alti di umidità e di temperatura nella regione. L’analisi è stata svolta da un gruppo internazionale di ricercatori e pubblicata il 17 gennaio su Science Advances.


I ricercatori hanno utilizzato modelli statistici per esplorare come le condizioni ambientali si fossero allineate con tre differenti stragi di saiga nel 2015, nel 1988 e nel 1981. Hanno scoperto che tutti e tre gli eventi si sono verificati in corrispondenza di picchi di temperatura e di umidità, suggerendo un possibile collegamento.
Gli studiosi hanno spiegato che temperature e livelli di umidità anomali sono stati associati a setticemie emorragiche causate da P. multocida in altre specie. Tuttavia, hanno sottolineato che l’entità della strage di saiga del 2015 è molto oltre quella osservata per le altre specie e che quindi “devono esserci in gioco altri fattori.”
Le saiga sono naturalmente propense alle morìe di massa e gli scienziati ipotizzano che questo potrebbe essere dovuto al clima rigido del loro habitat, le fredde steppe semi-aride. Inoltre, le saiga danno alla luce piccoli di grandi dimensioni – i cuccioli più grandi di qualsiasi ungulato, in proporzione alla misura della madre, cosa che potrebbe mettere la popolazione a dura prova durante la stagione delle nascite.
In aggiunta alle pressioni naturali, ci sono anche quelle non-naturali. Sin dagli anni Novanta, il bracconaggio ha svuotato sensibilmente le mandrie e i conservazionisti sono preoccupati che la caccia, unita alle morìe, possa diminuire il numero di saiga a un livello dal quale non riusciranno a riprendersi.

Ci sono domande ancora in sospeso, come ad esempio perché livelli elevati di umidità e temperatura inneschino un’invasione batterica. I ricercatori raccomandano studi più esaustivi sulla diffusione dei batteri in seguito ai cambiamenti ambientali.
Ciò che i loro risultati in ogni caso indicano è che le saiga sarebbero particolarmente sensibili al cambiamento climatico, che, in Kazakistan, promette di aumentare sia le temperature che i livelli di umidità. Se questo dovesse verificarsi, le colonie di P. multocida presenti nelle saiga potrebbero rivelarsi delle bombe ad orologeria, risiedendo negli animali in maniera innocua fino a quando, un giorno, non dovessero scatenarsi per l’aumento della temperatura e dare inizio così ad un’altra morìa.
I ricercatori dicono che conservazionisti e studiosi devono tenersi pronti ad agire velocemente, in caso di un simile evento.
“L’entità e la natura di questo fenomeno indicano inoltre la necessità di un monitoraggio veterinario e scientifico delle popolazioni di fauna selvatica e di risposte rapide e rigorose in caso di scoppi di epidemie,” scrivono nel loro studio.
Citazione:
Kock, R. S., et al. (2018) Saigas on the brink: Multidisciplinary analysis of the factors influencing mass mortality events. Science Advances 4(1) DOI: 10.1126/sciadv.aao2314