- Dalla Grande Barriera Corallina alle Isole Galapagos e alle foreste dell’Africa centrale, più di un terzo dei patrimoni naturali dell’umanità UNESCO è minacciato da una miriade di problemi.
- Dei diciassette siti con prospettive di conservazione critiche, sedici si trovano ai tropici, la maggior parte dei quali in Africa. Meno della metà dei patrimoni naturali africani ha ricevuto una valutazione “buona” per le prospettive di conservazione. Il problema principale nei paesi in via di sviluppo è la mancanza di fondi.
- Particolarmente a rischio sono i siti ricchi di biodiversità come il parco nazionale dei Virunga e il parco nazionale di Garamba, entrambi nella Repubblica Democratica del Congo, e la riserva della biosfera del Rio Platano in Honduras.
- A mettere in pericolo i patrimoni naturali dell’umanità sono specie alloctone invasive, turismo non sostenibile, bracconaggio, centrali idroelettriche, deforestazione, ma la minaccia più incombente è rappresentata dai cambiamenti climatici.
Un recente rapporto dell’IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, riferisce che più di un terzo dei siti designati dalle Nazioni Unite patrimoni dell’umanità di eccezionale valore universale è in pericolo. La prima valutazione dei 241 patrimoni naturali dell’umanità ha rilevato che, complessivamente, il 29 percento dei siti ha “gravi problemi di conservazione,” mentre un ulteriore 7 percento è in condizioni ancora peggiori, con “problemi critici.”
Tra i patrimoni dell’umanità considerati a rischio ci sono il Parco Nazionale di Komodo in Indonesia, le isole Galapagos in Ecuador, la Grande Barriera Corallina australiana e il Machu Picchu in Perù. Il rapporto IUCN ha riscontrato che i siti più minacciati si trovano ai tropici, in particolare in Africa, dove i paesi emergenti spesso non hanno i fondi necessari per proteggere le proprie riserve.
I patrimoni dell’umanità vengono scelti dall’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, per l’eccezionale valore culturale, storico scientifico o di altro tipo e, dal punto di vista giuridico, vengono protetti da trattati internazionali. Tra questi, 241 siti sono stati selezionati per lo straordinario valore naturale universale, per un totale di 293 milioni di ettari di terra e mare attraverso 107 stati. Gli Stati Uniti di Donald Trump si sono ritirati dall’UNESCO nel 2017, ma già dal 2011 avevano interrotto il pagamento della quota di adesione, accumulando arretrati per più di 550 milioni di dollari.
“I patrimoni dell’umanità naturali godono di un riconoscimento internazionale unico e dovrebbero rappresentare dei modelli di conservazione,” sostiene Peter Shadie, consigliere principale del World Heritage Programme dell’IUCN e co-autore del rapporto. Tuttavia, non tutti i siti hanno raggiunto lo stesso livello di salvaguardia del proprio stato di conservazione.
Il rapporto IUCN World Heritage Outlook 2, pubblicato a novembre in occasione del congresso mondiale dei parchi di Sydney, ha rivelato che, mentre più della metà dei siti è ben gestita, il 13 percento presenta gravi carenze nella strategia di salvaguardia di specie e paesaggi.
“In generale, le prospettive future non sono buone,” afferma Shadie, “di sicuro non abbastanza per i luoghi naturali più belli al mondo.”
I siti ai quali è stato conferito lo status di patrimonio dell’umanità per la preziosa biodiversità risultano più minacciati rispetto a quelli che lo sono per la geologia o per la bellezza naturale. A mettere in pericolo la biodiversità sono specie alloctone invasive, turismo non sostenibile, bracconaggio, centrali idroelettriche, deforestazione, ma la minaccia più incombente è rappresentata dai cambiamenti climatici.
Tra i diciassette luoghi con prospettive di conservazione critiche, sedici si trovano ai tropici, la maggior parte in Africa. I siti patrimonio dell’umanità africani ricoprono un totale di 41 milioni di ettari ma solo il 43 percento ha buone prospettive.
Per esempio, l’area protetta più vasta di tutta l’Africa, la riserva naturale Aïr and Ténéré, si estende per oltre 7,5 milioni di ettari in Niger e comprende la straordinaria struttura vulcanica dei monti Aïr e il paesaggio del deserto sahariano del Ténéré. Decenni di disordini civili in Niger, associati a una capacità di gestione limitata, hanno lasciato la vita selvatica di questo patrimonio dell’umanità in balìa di bracconaggio e deforestazione illegale.
La Repubblica Democratica del Congo, paese devastato da anni di guerra e disordine civile, possiede cinque tra i patrimoni dell’umanità più minacciati: il parco nazionale di Salonga, il parco nazionale di Kahuzi-Biega, il parco nazionale di Garamba, la riserva faunistica degli Okapi e il parco nazionale dei Virunga, che ospita la metà delle uniche popolazioni rimaste del gorilla di montagna (Gorilla beringei beringe), specie “in Pericolo Critico”. Il parco nazionale di Garamba negli ultimi anni ha assistito a un declino devastante della propria fauna selvatica, con la perdita della popolazione di rinoceronti bianchi settentrionali all’inizio del ventunesimo secolo assieme al 95 percento degli elefanti e di oltre l’80 percento di altri grandi mammiferi alla fine del 2016.
Anche il lago Turkana, in Kenya, il più salato di tutta l’Africa, è a rischio. Il Tukana, il più grande lago in zona desertica del mondo, è un importante punto di sosta per gli uccelli migratori e contiene i sedimenti di Koobi Fora, che hanno restituito fossili della specie degli Hominini datati quattro milioni di anni. Eppure, la riserva di questo lago è gravemente minacciata dalle dighe che si sono sviluppate sui suoi affluenti e dall’espansione delle piantagioni di canna da zucchero.
Dopo l’Africa, altri siti tropicali in pericolo critico si trovano in America centrale, del sudest asiatico e in Oceania. La riserva della biosfera del Rio Platano, in Honduras, che conserva flora e fauna ricchissime e 2000 indigeni che ancora conducono uno stile di vita secondo la tradizione, ha ricevuto dal rapporto 2017 una prospettiva di conservazione critica. Questa riserva è uno dei più vasti e importanti tratti di foresta dell’area mesoamericana, ma un’inadeguata presenza governativa ha consentito alla deforestazione illegale, al bracconaggio e al traffico di droga di prosperarvi.
Più a nord, la riserva della biosfera delle farfalle monarca ospita il fenomeno più spettacolare del regno animale. Ogni autunno le farfalle monarca (Danaus plexippus) si radunano a milioni nelle foreste montane del Messico centrale, dove trascorrono l’inverno prima di tornare nel Canada settentrionale la primavera successiva. Questo famoso spettacolo rischia di sparire a causa dell’agricoltura industriale e dello sviluppo del territorio, che provocano la diminuzione delle piante di cui si cibano le monarca.
“La familiarità con le farfalle monarca, unita al loro carisma, è di supporto a tutti gli impollinatori che utilizzano lo stesso habitat e forniscono servizi ecologici come, appunto, l’impollinazione,” sostiene Wendy Caldwell, coordinatrice di programma alla Monarch Joint Venture all’università statunitense del Minnesota.
Al di fuori dalla protezione offertale dal sito patrimonio dell’umanità, questa specie altamente migratoria corre gravi pericoli. “Ѐ la perdita intensiva di habitat in tutta l’area di distribuzione la maggiore causa del declino delle popolazioni di monarca,” continua Caldwell. Per salvare questa specie così simbolica sarà fondamentale proteggere i terreni del nord America e del Canada dove le monarca si cibano delle loro piante preferite.
Nella lista delle criticità sono presenti anche le foreste pluviali indonesiane di Sumatra all’interno delle quali si trovano tre parchi nazionali: il parco nazionale di Gunung Leuser, il parco nazionale di Kerinci Seblat e il parco nazionale di Bukit Barisan Selatan, che si estendono per 2,5 milioni di ettari e ospitano molte specie endemiche come l’orango di Sumatra (Pongo abelii) e l’orango di Tapanuli (Pongo tapanuliensis), scoperto di recente.
Il rapporto IUCN, però, non è pervaso di pessimismo ma contiene anche storie positive. Dei 228 siti compresi nell’ultima valutazione del 2014, quattordici hanno migliorato la propria posizione e due sono usciti dalla lista dei siti critici. L’instabilità politica in Costa d’Avorio, per esempio, ha impedito al personale del parco nazionale del Comoé di svolgere il lavoro di tutela più importante, ma dal 2012 una maggiore stabilità ha consentito ai forestali di riprendere il controllo della riserva dove delle popolazioni di scimpanzé e di elefanti hanno iniziato a riprendersi.
La lista dei siti con buone prospettive di conservazione comprende anche il parco nazionale di Guning Mulu, in Malesia, e i laghi di Ounianga in Ciad, l’unico sito che dal 2014 ha migliorato le proprie condizioni in “buone.” Il rapporto 2014 indica la partecipazione della comunità locale nella gestione dei laghi come la chiave di quesa buona prospettiva. Allo stesso modo, una gestione rigorosa, associata a un piano quinquennale di sviluppo e a una fiorente industria di ecoturismo, hanno aiutato il parco nazionale di Guning Mulu a conquistare un “buone” per le condizioni delle 3.500 specie di piante che vivono al suo interno.
L’applicazione delle stesse strategie che si sono rivelate efficaci in siti patrimonio dell’umanità come questi, potrebbe contribuire a migliorare le prospettive dei 200 siti che invece destano preoccupazione. “Bisogna estendere e replicare queste strategie altrove,” sostiene Shadie. La cattiva gestione e la mancanza di applicazione delle leggi e di coinvolgimento governativo sono spesso le principali minacce per questi siti: sono tutti gravi problemi che, nei paesi emergenti, devono essere risolti.
Secondo Shadie “assicurare il massimo livello di tutela a questi luoghi eccezionali è un dovere di tutti.”